Per i produttori doglianesi esiste però anche un territorio culturale, più vasto di quello della denominazione, un territorio al quale ci sentiamo legati e di cui condividiamo sapori e tradizioni.
È l’orizzonte di una geografia che non conosce i limiti esatti delle cartine, ma che respira un’aria dai confini più vasti: l’affaccio sulla pianura di Carrù, Piozzo e Cherasco; la storia illustre di Mondovì; il mercato del bestiame di Cuneo; e più oltre i rapporti con la pianura e le valli cuneesi. È il territorio dei sapori e delle tradizioni, dei cibi, dei profumi, delle fiere e delle sagre, del paesaggio e degli uomini che da secoli festeggiano ogni giornata con questo nostro vino.
La cucina della nostra zona è il sapiente incontro di tutti gli elementi di questo territorio più vasto, delle materie prime che sa offrire e che ritroviamo nelle trattorie disseminate nei nostri paesi. Accanto ai piatti tipici di tutta la Langa, come i „tajarin“ o i ravioli del plin, i brasati o le infinite teorie di antipasti, qui regnano sovrani il bollito preparato con il bue grasso di Carrù; le minestre delle fiere antiche che sfamavano chi arrivava all’alba dopo un lungo cammino, come la Cisrà a base di trippe e ceci;

le deliziose robiole e tume di pecora allevate in alta langa che si presentano semplici nella loro assoluta bontà, accompagnate da un grappolo di Dolcetto, oppure ad arricchire sformati, paste ripiene, verdure al forno.
Le nocciole si trasformano in delicate torte, biscotti, nel famoso torrone; si uniscono al cioccolato, ma inaspettatamente si trasformano in ripieni o guarnizioni di delicati arrosti. Anche i funghi, i bulei, che qui si gustano impanati e fritti, vengono dai boschi di castagno delle nostre colline, quei boschi dove si riesce ancora a trovare la cacciagione presente nelle nostre osterie cucinata in salmì e con il vino.
E infine i tartufi che hanno a Ceva un mercato importante, segno della loro preferenza per l’ambiente più intatto delle nostre terre meno travolte dalla intensificazione della viticoltura.
Questi sapori semplici e antichi sono completati ed esaltati dal nostro Dolcetto che rappresenta un imprescindibile abbinamento ai cibi e che non può mancare sul tavolo di chi si ferma ad assaporare i piatti delle nostre terre.

f

Il Bue grasso è un animale appartenente alla Razza piemontese. Questa razza è da sempre famosa per la capacità di fornire carne, produrre latte e per la sua attitudine al lavoro. Fino a quando l’agricoltura non ha cominciato ad essere meccanizzata, riducendo drasticamente la necessità del lavoro del bue, il mercato piemontese poteva contare su 8.000 buoi grassi ogni anno. I buoi grassi erano animali che alla fine della loro carriera lavorativa venivano ingrassati e preparati per la macellazione. Ovunque questa scelta sarebbe stata considerata antieconomica, ma in Piemonte era pienamente giustificata dalla attitudine della razza piemontese per la produzione di carne di ottima qualità, pienamente ricompensata dai prezzi di mercato. Il peso di questi animali va dai 900 ai 1200 kg. C’erano molti mercati del bestiame in Piemonte, ma è stato soprattutto quello di Carrù a trattare il maggior numero di buoi. Verso la metà di questo secolo, a causa dei mutamenti in agricoltura, l’allevamento del bue grasso si è ridotto passando da un’attività comune, ad un’attività in via di sparizione. Passo dopo passo un numero crescente di allevatori sta cominciando ad aumentare nuovamente il numero di buoi grassi sul mercato Carrù.
La fiera ha origini molto antiche, già dal 1473 due volte alla settimana si svolgeva a Carrù il mercato di bestiame. Il Duca Vittorio Amedeo I, con un decreto del 15 ottobre 1635, concesse alla comunità una fiera annuale, che doveva aver luogo dopo la festa di San Carlo (4 novembre) per un periodo di tre giorni. La prima fiera di buoi grassi si svolse il 15 dicembre 1910 e fu istituita con la volontà dell’Amministrazione comunale e del Comizio Agrario di Mondovì, per porre rimedio alla grave carenza di animali per la macellazione e il conseguente aumento del prezzo della carne. Oggi la fiera bue grasso, che si svolge nel mese di dicembre, è diventato un appuntamento tradizionale e commerciale, promuovendo l’allevamento di bestiame del Piemonte e incoraggiando il consumo di carne di ottima qualità.

Per maggiori informazioni sul Bue grasso di Carrù
www.anaborapi.it

Murazzano

Il Murazzano è un formaggio grasso a pasta fresca prodotto con latte ovino, a volte il 100%, a volte meno, fino al 60%, quando viene mescolato con il latte di vacca. Ha una forma cilindrica con un diametro di 10-15 centimetri e 3-4 centimetri di spessore. Una forma pesa da 300 a 400 grammi. Senza crosta è di colore bianco se fresco, a volte di colore giallo chiaro se stagionato. La pasta è morbida, di consistenza leggera. Viene prodotto nella zona della Comunità Montana Alta Langa e nei comuni di Bastia Mondovì, Ceva, Castelnuovo di Ceva, Clavesana, Montezemolo, Priero e Sale San Giovanni. Il sapore fresco e delicato proviene dalla dolcezza del latte ovino; il gusto è fine, piacevole e si abbina perfettamente con il Dolcetto di Dogliani. Per la produzione il latte viene cagliato alla temperatura di 37° C con caglio liquido. L’impasto viene rotto nelle dimensioni di un nocciola e messo in scatole cilindriche con fondo bucato per almeno 24 ore. Durante la stagionatura il formaggio viene sciacquato velocemente ogni giorno con acqua tiepida. La stagionatura dura da 4 a 10 giorni.
Già Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, citava Liguria e Cebano parlando di un formaggio che sembrava avere origine dalla pastorizia delle popolazioni celtiche. Barberis dice che il Murazzano è probabilmente il più antico formaggio italiano. Un medico di Vercelli, Pantaleone da Confienza nella sua Summa Lacticiniorum ha scritto un intero capitolo sul Formaggio de la Mora, descritto come: „formaggi chiamati robiole e sono di piccole dimensioni, prodotte nella terra dei marchesi del Monferrato e del Carretto e di Ceva“.
Leggende popolari affermano che il nome del formaggio deriva da Giuanin di Murazzano che, secondo la tradizione, fu lasciato dalla madre a guardia di alcune robiole. Un corvo gli rubò una robiola e Giuanin lo inseguì fino a Ceva, dove Satana in persona tentò di trascinarlo all’inferno, ma il giovane riuscì a salvarsi e a recuperare la forma di formaggio alla quale però mancava una bella fetta.
Attualmente il Murazzano è una DOP Denominazione di Origine Protetta classificato con decreto regionale CE n.1263 del 01.07.1996.

Per maggiori informazioni sul formaggio Murazzano
www.formaggio.it/italiaDOP/murazzano.htm

il-tartufo-monferrino-tuber-magnatum-pico-tartufo-binaco1

Il tartufo è un fungo ipogeo che cresce sotterraneo; le sue radici sono una rete spessa e intricata di filamenti bianchi (ife). Il frutto, a forma di tubero, ha una massa carnosa, detta gleba, coperta da una corteccia detta peridio. Le diverse caratteristiche di queste parti permettono di distinguere facilmente i diversi tipi di tartufo. I tartufi sono principalmente costituiti da acqua e sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici degli alberi con cui vivono in simbiosi. Il tartufo bianco d’Alba ha diverse sfumature, a seconda dell’albero vicino al quale cresce. Possono essere di colore bianco con sfumature rosa, marrone, grigio. Gli alberi sotto cui crescono i tartufi sono generalmente querce, salici, tigli, pioppi e secondo alcuni, anche le viti. Dopo che si è formato, il tartufo diventa un parassita, che assorbe la linfa che le radici della sua pianta ospite prendono dalla terra. I tartufi più profumati e di lunga durata sono quelli che nascono sotto le querce, mentre i più aromatici e leggeri quelli che crescono sotto i tigli.
La loro forma, in genere tondeggiante, dipende dal terreno in cui crescono: se è morbido, il tartufo sarà rotondo; se è duro e compatto, si svilupperà con bitorzoli e nodi. I tartufi maturano tra la fine del mese di agosto e il mese di gennaio; ogni radice produce ogni anno un solo tartufo a meno che non venga accidentalmente tagliata. Il tartufo bianco d’Alba trova il suo ambiente perfetto in boschi di querce, ma è possibile trovarli lungo i fiumi, o in prossimità di ruscelli, dove ci sono salici e pioppi, oppure ancora nelle vicinanze dei tigli. Naturalmente, ha bisogno del terreno giusto per crescere: un suolo calcareo è perfetto, ma anche un terreno calcareo-argilloso con silice va bene. I tartufi crescono raramente oltre i 600 metri sul livello del mare. La verità è che sono imprevedibili: essi crescono ovunque ci siano radici di alberi a cui possono associarsi, anche nei vigneti. Suoli umidi e verdi, non troppo sole, sono l’habitat più adatto. La provincia di Cuneo è ricca di questi terreni che favoriscono la crescita dei tartufi. È una fascia disposta all’incirca sulla direttrice della strada tra Torino e Savona, fino a Ceva, lungo il fiume Tanaro, fino alla provincia di Imperia. Tipiche e preziose sono le colline del Roero, le Langhe attorno Alba e Mondovì e la zona di Ceva.

Per maggiori informazioni sul Tartufo
www.tuber.it

sfondonocciole

Le Langhe producono un terzo di tutte le nocciole della provincia di Cuneo, il loro raccolto totale è di 80 mila quintali l’anno. Il tipo di nocciola locale è la tonda gentile delle Langhe (della specie Corylus Avellana), con un sapore ottimo e delicato, facile da sbucciare e preservare. Per conoscere un po‘ di storia possiamo tornare nel secolo scorso, quando i pasticceri di questa zona – prima di tutto Michele Prochet – hanno scoperto il valore della nocciola, e l’ha utilizzata come ingrediente fondamentale di un particolare tipo di cioccolato chiamato gianduia. Da allora, le richieste non hanno cessato di crescere, tanto che gli agricoltori, negli anni Trenta, hanno cercato di coltivare grandi campi di nocciole. Per tutelare questo prodotto, il 2 dicembre 1993 il governo italiano ha emanato un disciplinare per la classificazione ufficiale e la protezione della tonda gentile delle Langhe. Gli alberi di nocciola sono coltivati sulle colline che vanno da 250 a 700 metri, soprattutto in quelle zone che non sono adatte per i vigneti. Da Alba a Cortemilia e ci sono anche laboratori industriali di piccole e medie dimensioni, che seccano e pelano le nocciole fondamentali anche nella preparazione del torrone d’Alba.
Le piante sono coltivate in forma di alti cespugli, da 250 a 400 piante per ettaro, il raccolto può essere massimo 35 quintali per ettaro. Il tentativo di raccogliere i frutti direttamente dalla pianta è stato abbandonato, perché non tutte le nocciole maturano contemporaneamente e alcune rimangono più umide. In pochi appezzamenti di terreno le nocciole vengono raccolte a mano, dopo che sono cadute spontaneamente dalle piante a maturità. La raccolta può essere effettuata anche utilizzando speciali aspiratori, o con reti poste sotto le piante, ma il peso dei frutti può far cadere le reti a terra, riempiendo di umidità le nocciole.
Più le nocciole sono umide, più facilmente diventano rancide: ecco perché, dopo essere stati raccolti, i frutti sono immediatamente essiccati, sotto il sole nei cortili delle cascine o con speciali essiccatoi che utilizzano aria calda, non superiore a 35° C. Raccolte in silos o in sacchi di juta, o talvolta sgusciate e surgelate, le nocciole possono essere conservati per un certo periodo di tempo, fino a che non vengono utilizzate, pronte per essere impiegate dalle imprese di pasticceria.

Per maggiori informazioni sulla Tonda Gentile
www.nocciolapiemonte.it