BRIAGLIA – IL COMUNE
Il toponimo Briaglia sembra derivare dal sostantivo celtico Briaka, in seguito latinizzato in Briaglia. Questo nome sarebbe composto dal termine bri (presente anche nell’irlandese antico), che significa “colle” o “rocca”, e dal suffisso aka. Certamente i primi abitanti di queste zone furono i Liguri Bagienni che si ascrissero alla tribù Camilia nell’89 a.C, soggiogati poi dai Romani.
Le prime documentazioni risalgono al 901 quando nel contado di Bredulo (compreso tra Tanaro, Corsaglia e Stura), iniziò la signoria dei vescovi di Asti. Il territorio di Briaglia era parte integrante del comune di Vico, la cui origine è molto più antica. Il nome stesso, nonché la presenza di alcune lapidi, fanno supporre un’origine romana mentre, per il periodo successivo, la presenza di una “pieve” e di un “castrum”, costruiti intorno all’anno mille, fanno pensare all’opera di incastellamento attuata dai vescovi di Asti, alla cui diocesi Vico apparteneva. Tale diocesi esercitò su tutta la zona compresa tra il Tanaro e la Stura, un tempo corrispondente all’antico comitato di Bredulo, una forte pressione sia sotto il profilo ecclesiastico che giurisdizionale.
Il dominio incontrastato dei vescovi venne poi messo in discussione nel sec. XII dalla nascita e dal rafforzamento dei comuni di Mondovì e di Cuneo.
L’origine del Comune di Mondovì è testimoniata da un documento del 27 ottobre 1198. Il vescovo di Asti concesse al marchese di Ceva, Guglielmo, il feudo di San Michele, con l’obiettivo di fare guerra alla popolazione abitante sul monte: “quod faciet guerram hominibus habitantibus in monte”.
L’origine di Mondovì è dunque molto chiara.
Vico acquistò la sua indipendenza comunale solo nel 1698, dopo gli avvenimenti della Guerra del Sale.
Un editto di Vittorio Amedeo II, duca di Savoia, stabilì infatti lo smembramento del territorio di Mondovì e la formazione di 13 nuovi comuni, tra i quali lo stesso Vico. Il nuovo comune era costituito oltre che dal capoluogo, da numerose frazioni quali Fiammenga, Moline e Briaglia. e nel 1722 fu dato in feudo al conte Giuseppe Derossi di Usseglio; nel 1794 fu acquistato dal marchese di Ormea
Briaglia, a sua volta, per volere del Reverendo Don Andrea Borsarelli e dei suoi abitanti, nel 1796 si costituì sede comunale staccandosi da Vicoforte
Numerosi furono i beni lasciati in eredità dal Reverendo, con la clausola che se non si fosse mantenuta tale autonomia, i beni sarebbero passati al Monte di Pietà di Mondovì.
Intorno alla metà dell’800 alcuni documenti testimoniano la prospettata soppressione del comune e la sua aggregazione al Comune di Vicoforte. Numerose furono, tuttavia, le azioni di protesta e le resistenze dei briagliesi che riuscirono a mantenere salda la propria autonomia comunale.
Per maggiori informazioni su Briaglia
www.comune.briaglia.cn.it
MONUMENTI
Chiesa Parrocchiale di Santa Croce
Nella Chiesa parrocchiale di Santa Croce, costruita tra il 1882 ed il 1889 in forme barocche, notevoli i tre altari barocchi in marmo.
Cappella Madonna della Neve
Insediamenti megalitici
Nel 1970, l’archeologo Janigro d’Aquino iniziava una serie di scavi presso il paesino di Briaglia dove, secondo le sue teorie, dovevano trovarsi tracce di insediamenti risalenti ai Celto-liguri, popolazioni esistenti nelle nostre vallate molte migliaia di anni prima dell’avvento dei Romani.
La fatica dell’archeologo fu coronata da alcuni ritrovamenti: nelle colline di Briaglia-S.Croce scoprì numerosi megaliti sbozzati a forma umana stilizzata (statue-stele), a forma di animali (fra cui un bel cinghiale) o di obelischi (menhir).
Il ritrovamento più sensazionale è stato il „dolmen“, nome che archeologicamente si dà a sepolture megalitiche con ingresso simile ai dolmen tradizionali. Era formato da una galleria lunga oltre 30 metri che termina con una camera mortuaria. All’interno si trovava un pozzo a forma di mezzaluna profondo una ventina di metri. Sotto la crosta calcarea ricca di stalattiti furono trovate tracce di ocra rossa.
La soprintendenza ha tuttavia espresso dubbi sull’effettiva datazione di questi reperti che sono stati giudicati opere della natura. Da quando il professor D’Aquino ha interrotto gli scavi a seguito di questo giudizio delle istituzioni, tutti i reperti sono stati abbandonati, e attualmente molti menhir sono andati perduti oppure utilizzati per costruire muretti a secco, e il prezioso dolmen sotterraneo non è più accessibile in seguito a frane.
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